Fra i tanti metodi terapeutici validi esistenti (mettendo da parte le cretinate  del “visionario” di turno, che forse per qualche tempo, possono abbindolare i più suggestionabili, alla ricerca dell’ultimissima novità), come possiamo riconoscere che un approccio è giusto per noi? Ciò che in fondo ci interessa e fa la differenza, non è tanto la bontà di un metodo in assoluto, quanto la sua validità per noi stessi.

Per rispondere ho riflettuto su di me, che vuoi il temperamento curioso vuoi il mio lavoro, di “assaggi” ne ho fatti parecchi, chiedendomi in base a quale criterio ho scelto e scartato, nel corso del tempo.

Gli approcci più adatti a ciascuno di noi, dopo averne fatto anche solo una piccola esperienza, cominceremo ad usarli con naturalezza, avvertendone da subito e chiaramente dei benefici significativi. Più ne percepiremo l’utilità, più diventerà semplice e spontaneo impiegarli, in poche parole, senza sforzo e quasi senza accorgercene, diventeranno parte integrante della nostra vita.

Ecco le domande da porci per verificare, in caso avessimo dubbi, se un metodo è “il nostro”:

Ho avuto dei benefici da questo metodo?

In cosa consistono esattamente?

Da quando conosco questo metodo, quanto spesso lo applico?

Desidero approfondire e saperne di più al riguardo (e poi effettivamente lo faccio)?

Se rispondiamo con sincerità, abbiamo tutto quello che ci serve per tirare le somme.

Nelle foto seguenti ci sono io, l’estate scorsa in montagna. Mi trovo su una pensilina che si protende nel vuoto, parecchie decine di metri sopra una gola.

Non sono esattamente Riccardo Cuor di Leone, e tra le mie numerose paura c’è l’altezza. Però mi piace sfidarmi e allora penso che questa sia un occasione perfetta per sperimentare l’approccio della Mindfulness* (che all’epoca studiavo già da diversi mesi) verso le emozioni sgradevoli, tra le quali la paura è di certo una protagonista.

Comincio quindi a compiere una serie di operazioni interne.

Primo passo. Riconosco di essere decisamente spaventata: sento il cuore più accelerato, le  gambe tremolanti, un po’ di sudarella, nonostante il freddo.

Secondo passo. Accetto di stare con a questa emozione, indubbiamente sgradevole  che caratterizza principalmente il mio “qui ed ora”. Perciò, decido di non negare, rifiutare o cercare di allontanare la paura, al contrario scelgo di sostenermi.

Terzo passo. Resto accanto alla parte di me spaventata, con comprensione e compassione, perché è evidente che in questo momento soffre. In fondo, chi meglio di me stessa  può occuparsene?

Quarto passo.  Lascio perdere ogni tipo di giudizio negativo, e non mi dico che grande come sono non dovrei temere una cosa così banale di cui sono capaci anche i bambini, né che sono ridicola.

Quinto passo. Cerco di rimanere nel momento presente, senza permettere alla mente di cercare nel passato esperienze simili già vissute (e rinforzare questa con il ricordo di molte altre paure), ne di anticipare il futuro con previsioni negative, del tipo che per la paura mi bloccherò. Incollo la mente al presente e ci riesco concentrando il più possibile l’attenzione su un “oggetto” semplice e a portata di mano: il ritmo del mio respiro.

Sesto passo. Contemporaneamente, sposto l’attenzione su stimoli esterni che mi attraggono e mi impediscono di dedicarmi completamente paura, ad esempio il fragore dell’acqua.

Settimo passo. Realizzo che oltre alla paura (emozione sgradevole) provo anche eccitazione e contentezza (emozioni gradevoli) per aver fatto un’esperienza insolita ed essere riuscita a superare un mio limite. Allargando il campo, e riconoscendo i vari elementi emotivi presenti, la paura perde il ruolo di protagonista assoluta e si stempera.

E quindi vado sulla pensilina, non con la pretesa o la speranza di trasformarmi in Riccardo Cuor di Leone ma così come sono, prendendo sottobraccio la mia paura e sento che questo modo, immerso nel divenire della realtà, in cui mi ascolto e mi conforto, è davvero giusto per me.

*Metodo basato sullo sviluppo di una maggiore consapevolezza della propria esperienza  della realtà nel suo costituirsi e sulla coltivazione di stati psicologici salutari, attraverso l’impiego costante di varie pratiche meditative e di determinati atteggiamenti. E’ stato messo a punto dal biologo americano e praticante buddista J. Kabat Zinn negli Anni 70, con l’obiettivo di ridurre sofferenza e stress.

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